Un ricerca recente ha evidenziato un’alta concentrazione di microplastiche nei piccoli mammiferi, ricci compresi.
Da recente studio effettuato da un gruppo di ricercatori inglesi emergono dati preoccupanti: più della metà delle specie di mammiferi presenti in Inghilterra e Galles contengono microplastiche nel loro organismo.
L’impatto che la plastica sta avendo sulla fauna selvatica locale è devastante.
Secondo il Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo, ogni anno finiscono in fiumi, mari e oceani dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di plastica che con il tempo si degradano in particelle microscopiche, le cosiddette microplastiche, ormai diffuse ovunque.
Si sa molto dell’impatto della plastica sui sistemi acquatici ma molto poco su quelli terrestri.
Dai dati della ricerca effettuata dall’Università del Sussex, raccolti analizzando le feci del topo bruno, delle arvicole e dei ricci risulta che il 16,5% conteneva poliestere, polietilene, e polinorbonene.
Questi animali sono altamente contaminati per via delle loro abitudini alimentari e per il fatto che vivono a stretto contatto con il terreno.
Il riccio infatti ama molto annusare, scavare nella terra per catturare le sue prede preferite come i lombrichi e gli scarafaggi.
Esiste anche una contaminazione indiretta attraverso il consumo di animali contaminati.
Il riccio è un’insettivoro onnivoro che si nutre anche di carcasse. Le microplastiche sono insidiose e possono anche confondere i piccoli animali che le scambiano per cibo oppure le utilizzano come giaciglio o materiale per farsi il nido. I campioni prelevati nelle aree urbane hanno concentrazioni maggiori rispetto a quelle rurali.
“Dobbiamo cambiare il nostro rapporto con la plastica – ha affermato il dottor Adam Porter, co-autore dello studio – allontanarsi dagli articoli usa e getta e sostituire la plastica con alternative migliori, dedicandoci con più impegno ed efficienza al riciclo e alle economie circolari”.