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Un riccio nel cuore

Articolo dedicato al dottor Massimo Vacchetta, direttore del centro recupero ricci “La ninna” ed alla sua opera
( di Barbara Spadini)

In questo periodo natalizio 2021, purtroppo, le afflizioni personali e sociali sono tante, compreso un clima al limite del livore comunitario fra vaccinati e non vaccinati, senza pensare che la pandemia tocca tutti, pur nelle legittime scelte differenti. Io, come sempre, sto a guardare questo teatrino, non perché non mi senta di farne parte, anzi…ma ci vuole una barriera, una difesa, un limite, un sogno, una speranza per superare le tragedie personali e collettive. Così leggo, studio, scrivo e amo immensamente gli animali, tanto da aver scritto moltissimi articoli sulle loro simbologie, nel tempo e nella storia, nel mito e nell’archetipo che lo sostiene.
L’amore per gli animali mi arriva da lontano, dall’infanzia fra cani e gatti, dalla vicinanza della mia casa al lago, sfiorato da cigni, anatre, piccoli trampolieri palustri, rane, rospi e pesci, dall’aver sempre avuto un grande giardino ed aver potuto così osservare talpe, chiocciole, libellule, coccinelle ed api. E anche i ricci.
Il riccio bisogna capirlo:io sono un’introversa e mi rinchiudo a palla quando mi sento attaccata. Così capisco bene il riccio e ne ammiro gli aculei, impenetrabile corazza ed ultimo baluardo di difesa. Ma quando un riccio si sente tranquillo si distende, si allunga, mostra il suo musetto a punta ed umidissimo, i suoi occhi dolci e pieni di acuta intelligenza e la sua pancia morbida e delicata. Mi assomiglia davvero, perché anch’io mi mostro quando sono fiduciosa e serena. E poiché ho abitudini notturne, amando il silenzio e la quiete di fine giornata per accedere alle emozioni che solo la notte sa trasmettere, anche oggi sento il fruscio dei ricci nel mio giardino, indisturbati ospiti perché il giardino è sicuro, lontano dalle strade, affiancato da altri giardini. E nel mio giardino spesso i ricci fanno i loro nidi, ho osservato alcune cucciolate, una sotto la mia pianta di salvia ed un’altra davanti alla mia porta d’ingresso, sotto i gradini di casa, in un buco creato da alcune piastrelle di marmo sconnesse.
La palla, il cerchio perfetto, indica il senso del tempo e l’aculeo, la spina, richiama il dolore, la sofferenza e la capacità di mettere un limite fra sé e “il resto”. La notte in cui vive il riccio e il riposo del letargo fanno di lui un guerriero, che passa dalla prova del lungo e freddo inverno di tenebra alla luce della vita.
Il tepore della primavera e l’abbondanza di insetti ne risvegliano gli istinti e così il ciclo dell’esistenza si compie anno dopo anno, pur scombussolato dall’inquinamento e dalla plastica, dai fili di ferro, dai decespugliatori, dai veleni per topi, dai fari delle automobili e dalle scelte stradali scellerate di certi comuni e provincie, che fanno chiudere le carreggiate da blocchi di cemento compatto, che non danno scampo agli animaletti notturni che cercano di attraversare, ma restando bloccati a mezza strada corrono indietro e vengono schiacciati brutalmente dalle auto in corsa, sempre troppo veloci.
Uno scempio di centinaia di vite che vedo sempre quando vado al mare, verso i Lidi ferraresi: nutrie, gatti, ricci, uccelli e qualche volpe sono vittime dell’assurdità delle scelte dei tecnici della viabilità.

E allora, per caso qualche anno fa, ho scoperto un mondo pieno di ricci che vivono sicuri, un mondo al quale contribuisco col mio 5 x 1000 delle imposte, che seguo da lontano sulla pagina Facebook dedicata e sul sito de “La ninna” di Novello, nelle Langhe, in provincia di Cuneo: è il casale dei ricci, un centro di recupero della fauna selvatica, specializzato nella salvaguardia, cura e – se possibile- re immissione in natura dell’Erinaceus europaeus Linnaeus, insomma del riccio europeo.
Questo centro, del quale poi fornirò i contatti e l’indirizzo, è diretto dal dottor Massimo Vacchetta, un veterinario del quale spesso seguo le dirette video sulla pagina fb.
Amando osservare, è stupendamente bello verificare ogni volta quanto i linguaggi non verbali possano dire su un essere umano: Massimo è una persona realizzata e serena, che sa sognare e dar concretezza ai suoi sogni, che sa molto amare e trasmettere passione e empatia. Certo chi non ama gli animali non ama nemmeno le persone: in questo caso il contrario è dimostrato dal grande movimento di volontari che si attivano in aiuto al centro, anche per staffette di centinaia di chilometri per portare lì, dal dottore dei ricci, qualche piccolo invalido, vittima dell’incuria, del maltempo, o dei brutti incontri con la cosiddetta civiltà umana.
Massimo cura, studia, gestisce, interagisce, migliora il centro e scrive libri sulle sue esperienze. Quattro libri hanno già raccontato la sua convivenza con i ricci e molte petizioni in favore della salvaguardia di altre specie animali sono partite o sostenute da lui e dal suo centro, ove si portasse anche una lepre ferita, sarebbe accolta e curata.
Fra soddisfazioni, frustrazioni, progetti realizzati e non e qualche brutta perdita (purtroppo non tutti i ricci si possono salvare, con grande delusione e dispiacere poiché ogni riccio ha un nome ed una storia), mi rendo conto che seguire questo centro, pur da spettatrice, mi ha insegnato ed insegna ogni giorno che l’umiltà e la semplicità dei piccoli gesti quotidiani è la leva per cambiare il mondo e per sentirsi parte di un grande ecosistema nel quale ognuno di noi, con comportamenti responsabili e piccole  accortezze, è una pedina nel gioco più grande della salvaguardia della Natura che ci ospita tutti.
Cosa sarà mai un riccio, un gatto, un cane, un criceto o un pettirosso? Ho perso il mio gatto il 4 settembre scorso e -lo giuro- ogni giorno lo piango e lo cerco, vedendolo ancora nei suoi angoli domestici preferiti. Non è possibile dichiarare l’amore, lo si può solo sperimentare e vivere minuto per minuto ed ogni attimo che trascorriamo con gli animali, dando un pinolo ad un pettirosso infreddolito, giocando col proprio cane, accarezzando un gatto o semplicemente ponendo una ciotolina d’acqua e di crocchette in giardino per permettere ad un riccio di sopravvivere anche fuori stagione, è un’azione che ci rende certamente migliori, in quest’epoca di indifferenza e di superficialità, espressiva di fragili sentimenti, di poche emozioni e di troppo consumo di cose del tutto non necessarie.
Le cose veramente necessarie sono quelle che danno ristoro all’anima, che riattivano l’empatia, che rinnovano la capacità di emozionarci, di spenderci per un sogno o un altro essere, di coltivare pensieri di vita:per tutto questo ringrazio il dottor Massimo Vacchetta che m’insegna, giorno dopo giorno, ad addestrare il buono ed il bello che è in me, e che si riflette – anzi, si estroflette – sugli altri.Perché pochi grammi di felicità, come quella di tenere sul palmo della mano un riccio che si distende e ti mostra il suo musetto, possono cambiare molte cose, gli stati d’animo, la piega della nostra giornata, persino le sorti del mondo.

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